
Lo sciatore “potente”: ripensare il mentale nello sci alpino
Il piano editoriale, per questa stagione, prevede di articolare un discorso che dal generale (teoria), arrivi al particolare (prassi); promuovendo una visione d’insieme capace di intercettare l’interesse e il contributo delle varie figure che animano il settore: tecnici, amatori attivi, atleti, organizzazioni e altri.
Questi primi appuntamenti ci permettono quindi di costruire una visione di contesto, che crediamo essere innovativa, e che farà da volano ad articoli sul mentale nello sci alpino in accezione più educativa, che prestativa. Ossia in un’accezione più attenta alla promozione del soggetto e alla complessità del reale (apprendimento generativo), e meno preoccupata – secondo un retaggio “curativo” – di fornire soluzioni e risposte (apprendimento adattivo).
Il comportamento, secondo il nostro approccio, non ha una funzione meramente adattiva, ma è la risultante di un’iniziativa del soggetto, che sviluppa risorse di vario genere, più che fare propria la riduzione della realtà in strategie codificate.
Lo sci alpino come apprendimento
Lo sci alpino, al pari di altre discipline sportive, è un apprendimento.
Apprendere qualche cosa di nuovo, o implementare una competenza, determina cambiamento, ovvero determina la modificazione di un comportamento complesso.
L’apprendimento è dunque una funzione adattiva del soggetto a richieste o stimoli ambientali, ma allo stesso tempo un processo attivo di acquisizione, dove il soggetto interpreta e costruisce la sua personale realtà.
In sostanza, apprendere vuol dire acquisire nuove modalità di agire o reagire, in funzione di bisogni, desideri, opportunità.
Intervengono nell’apprendimento fattori endogeni ed esogeni, che ne facilitano o meno il processo e che sono riconducibili: al contesto d’apprendimento, alla metodologia adottata, alle caratteristiche cognitive della persona in apprendimento, a quelle emotive, alla motivazione ecc.
La persona che apprende fa esperienza di una frizione, di un disequilibrio, che lo porta ad assimilare nuove conoscenze per approssimazioni successive (soglia distale o prossimale di apprendimento) e in un certo senso ristrutturandosi sia sul piano cognitivo, che emotivo e relazionale.
Il potenziale come competenza
La differenza fondamentale tra un modello prestativo e un approccio educativo, risiede nel fatto che questo secondo, come anticipato, non fornisce soluzioni o tecniche, ma focalizza su un potenziale, eretto a principio, che definiamo principio di educabilità.
Ne deriva che non c’è apprendimento, se non c’è educabilità.
Per cui il potenziale non è una caratteristica innata, qualche cosa che alcuni hanno e altri no, ma, nel nostro modo d’intendere, una competenza: l’educabilità di una persona, come pure il suo potenziale, non è in funzione unicamente dei suoi attributi; l’educabilità è il contributo di ciascuno dei componenti e delle relazioni presenti in una situazione a valenza pedagogica.
Sono postulati del nostro ragionamento: la disponibilità del soggetto ad apprendere; la disponibilità personale a sviluppare una serie di competenze propedeutiche al cambiamento (adattabilità, pensabilità positiva, flessibilità e simili); la disponibilità a considerare la persona in apprendimento “più capace” di quello che riteniamo, o che i suoi risultati lasciano supporre.
Anche il cambiamento, se inteso come competenza, o attitudine, può essere appreso.
Chiameremo questo processo – con i promotori di un certo approccio psicosociale e comunitario che va da Piccardo, a Bruscaglioni e Gheno – self empowerment o potere personale.
È questa, con tutta evidenza, l’accezione del termini “potente” presente nel titolo.
L’orientamento al cambiamento
Parlare di educazione, di formazione, di facilitazione, di mediazione nelle pratiche di sci alpino, significa assumere dei significati che, per il tecnico, si risolvono in gesti, parole, azioni, stili di relazione, opzioni di metodo.
L’educazione, la formazione, l’istruzione, la mediazione di contenuti, sono azioni, cose che si fanno. Per questo, parlare di cambiamento della persona in apprendimento, può risultare a tratti ambiguo, o qualche cosa di astratto.
Eppure, nello sci alpino, non mancano parametri per oggettivare questo cambiamento (si pensi solo al dato cronometrico), che da alcuni viene definito come una sostanza materialmente visibile, emotivamente percepibile e quantitativamente misurabile.
Il cambiamento, assunto a modello del fatto educativo, diventa un’unità fenomenica percepibile, narrabile, osservabile, verificabile: cioè ci si aspetta che quella persona o quel gruppo, proprio perché “educato”, ci segnali una modificazione in ordine a competenze, condotte, idee, prima non presenti o differenti da quelle attese.
Il cambiamento educativo, o formativo, è un progetto ambizioso ed è gioco forza relazionale; sia che prevalga la dimensione intenzionale (è il soggetto a desiderare di cambiare), sia che prevalga la dimensione preterintenzionale (sono le circostanze ad imporre un cambiamento).
Ripensare il mentale nello sci alpino
Un approccio educativo alla prestazione umana, per le ragioni anzidette e date le caratteristiche della disciplina, è un approccio “a lungo termine” e che tiene conto della natura relazionale della persona-atleta, del suo essere in contesto (approccio ecologico).
Non esistono vie brevi o approcci sintetici al mentale, né schematismi o rappresentazioni, se non in chiave didattica.
Un approccio educativo al mentale è inoltre un approccio che tiene conto della natura integrativa e integratrice dell’essere umano, che si esprime nell’influenza reciproca di dimensioni diverse; dove la percezione di efficacia in ambito professionale (autoefficacia percepita), ad esempio, non necessariamente fa il paio con una buona autostima.
Come sottolinea Stefano Gheno ne L’uso della forza. Il self empowerment nel lavoro psicosociale e comunitario (2005), si può intendere il rafforzamento, banalizzando, come una sorta di “gasatura” all’americana. In altri termini: “l’importante è crederci!”.
Spesso […] il potere personale è inteso come una sorta di “cromatura” del temperamento: mettiamo un po’ di vernice scintillante, ostentiamo ottimismo, sicurezza e fiducia in noi stessi […] , ma poi – in ultima analisi – il risultato è lo svuotamento del significato, l’indifferenziazione, la leggerezza.
In altri termini non basta evocare l’agonismo (dal gr. agōnismós, lotta), l’aggressività, la perseveranza, la concentrazione, il dominio delle regole, per avere atleti potenti; cioè capaci di organizzare ed eseguire le azioni necessarie per produrre determinati risultati.
La meta di qualsiasi percorso educativo o formativo, anche nello sport, è sempre uno sviluppo globale della persona umana, attraverso un rafforzamento delle competenze e dell’identità.
Anche quando il processo è orientato verso un risultato e un obiettivo particolare, il self empowerment – come ricorda Gheno – è comunque una meta-competenza, il cui ambito d’azione è quello della generatività; rendendo la persona non solo capace di gestire efficacemente un compito, ma più capace di generare possibilità per sé e per altri.
Enrico Clementi enricoclementi017@gmail.com